5 stereotipi sugli interpreti

Il mondo degli interpreti è molto piccolo e paradossalmente, anche se la nostra professione ci porta tutti i giorni in mezzo alla gente, chi è fuori dal nostro settore a volte si fa idee scorrette su di noi. Negli anni mi sono imbattuta in alcune di queste idee, che a furia di essere ripetute, in alcuni casi sono diventate stereotipi. Eccone alcuni.

1. Qualsiasi bilingue può fare l’interprete

Per fare l’interprete conoscere almeno due lingue è sicuramente una condizione fondamentale, ma non sufficiente. Occorre anche avere molte altre conoscenze e competenze. Una fra tutti: bisogna studiare e padroneggiare le tecniche di interpretazione simultanea, consecutiva e di trattativa. Un bilingue parte sicuramente avvantaggiato sul fronte della competenza linguistica, ma in tutti gli altri aspetti deve faticare come tutti gli altri. Aggiungo anche che i bilingui possono persino essere svantaggiati, perché per loro la tentazione di trasportare direttamente e scorrettamente la struttura di una lingua in un’altra è più forte rispetto ai non bilingui.

2. Gli interpreti sono primedonne

Non ci nascondiamo dietro un dito: alcuni interpreti possono effettivamente sembrare un po’ primedonne. Nel nostro lavoro non è insolito incontrare scrittori, attori, politici e gente “importante” e capita di lavorare su palcoscenici di teatri prestigiosi, alla radio o in televisione. In queste situazioni può accadere che l’adrenalina ci faccia dimenticare per qualche istante che siamo lì solo per riportare il messaggio di qualcun altro e che le luci della ribalta non illuminano noi, ma la persona che accompagnamo, ma è molto importante tornare subito con i piedi per terra. Personalmente posso dire che i colleghi che stimo di più e che reputo più capaci sono invece persone molto discrete e tutt’altro che primedonne.

3. Gli interpreti si lamentano sempre

Interpretare è un’attività molto impegnativa dal punto di vista cognitivo e per svolgerla al meglio è fondamentale lavorare in condizioni adeguate. Ad esempio, se gli oratori parlano/leggono troppo velocemente o troppo lontano dal microfono, se in cuffia si sentono strani fruscii o se non si riesce a vedere l’oratore si fa molta più fatica a lavorare bene. In queste situazioni credo che non ci sia niente di male se un interprete chiede educatamente se è possibile eliminare o quantomeno ridurre questi fattori di disturbo proprio negli interessi del cliente: lo fa per offrire un servizio migliore possibile e non per il piacere di lamentarsi.

4. Gli interpreti sono degli squali

Anche in questo caso purtroppo c’è un fondo di verità. Come dicevo prima, il nostro mondo è molto piccolo e alcuni interpreti non si fanno molti problemi a fare le scarpe a colleghi per accaparrarsi un cliente. La buona notizia però è che, essendo appunto un mondo molto piccolo, prima o poi viene tutto a galla, quindi è bene non perdere di vista l’etica professionale e comportarsi in maniera corretta con tutti, clienti e colleghi, altrimenti il mercato non esiterà a tagliarci fuori. In sostanza: alcuni squali ci sono, ma hanno vita breve.

5. Gli interpreti costano troppo

In questo caso è fin troppo facile fornire argomentazioni per scardinare questo stereotipo. In Italia gli interpreti non hanno né un albo professionale, né una cassa e pagano i contributi alla cosiddetta gestione separata, come altre categorie professionali. Senza entrare troppo nei dettagli fiscali, semplifico dicendo che quasi la metà del compenso totale corrisposto dal cliente o dall’agenzia si volatilizza sottoforma di contributi INPS, ritenuta d’acconto e IVA (ad eccezione di alcuni regimi fiscali particolari). Inoltre, c’è da considerare che un interprete libero professionista lavora su base giornaliera e il numero delle giornate varia molto. Tipicamente all’inizio del percorso professionale le giornate sono molto poche e in alcuni periodi dell’anno non ci sono convegni (ad esempio agosto è quasi sempre vuoto). Ultimo punto da tenere in considerazione: la tariffa copre idealmente non solo la giornata di lavoro in sé, ma anche il tempo necessario alla preparazione.

 

 

Emanuela Cardetta
Emanuela Cardetta

Sono un’interprete di conferenza e traduttrice di italiano, inglese, francese e slovacco. Il mio lavoro è aiutare persone che non parlano la stessa lingua a comunicare tra loro in maniera efficace.

Chi sono
2 Comments
  • Nautilus
    Posted at 06:27h, 04 Agosto Rispondi

    Ecco, io di questi luoghi comuni non ne conoscevo nemmeno uno 🙂
    A proposito, vedo che hai addomesticato il linguaggio matematico a tuo modo trasformando “condizione necessaria” in “condizione fondamentale” 😀
    Uhm, le notifiche di questi post continuano a non arrivarmi 🙁

    • Emanuela Cardetta
      Posted at 11:13h, 04 Agosto Rispondi

      Sono luoghi comuni che circolano tra chi usufruisce dei servizi degli interpreti. Conosci bene la mia (im)preparazione matematica quindi diciamo che si è trattato di un caso 🙂 Non sono ancora riuscita a venire a capo del problema delle notifiche 🙁

Lascia un commento

Ti è piaciuto questo articolo?
Iscriviti alla newsletter


Loading