
In questo blog ho sottolineato fino alla nausea l’importanza della preparazione per la buona riuscita di un incarico di interpretazione. (Piccola sintesi della mia filippica abituale per non addetti ai lavori: come interpreti dobbiamo studiare l’argomento specifico dell’incontro in cui siamo chiamati a intervenire perché, per quanto approfondita possa essere la conoscenza delle lingue coinvolte, nessuno può dirsi esperto di tutti gli argomenti dello scibile umano). Ahimè, ci sono però delle situazioni in cui prepararsi non è possibile.
Recentemente, mi sono ritrovata proprio in una di quelle situazioni perché alle 9.06 di una giornata in cui non avevo altri impegni mi è arrivata la telefonata di un collega e amico che mi ha chiesto se fossi disponibile per un lavoro di interpretazione simultanea a distanza in programma per le ore 9… di quel giorno stesso! Il motivo dell’improvvisata è che, per una serie di circostanze, si è presentato alla riunione di un CAE (comitato aziendale europeo) un delegato italiano che non era inizialmente previsto, e per il quale non erano stati reclutati interpreti di italiano. Dunque, che fare? Nei 3 secondi che avevo a disposizione per rispondere alla richiesta, nella mia testa hanno preso forma questi ragionamenti.
Ipotesi 1: faccio un passo indietro
Rifiutare l’incarico è una scelta assolutamente legittima, vista la totale impossibilità di studiare l’ordine del giorno, leggere le presentazioni e preparare la terminologia. A volte lo dimentichiamo, ma come interpreti liberi professionisti non siamo mai obbligati ad accettare gli incarichi che ci vengono offerti, soprattutto se pensiamo di non essere nelle condizioni di fare un buon lavoro. Come ho raccontato nel post “Quando rifiutare un incarico di interpretazione”,se l’incarico riguarda un argomento complesso con cui non abbiamo familiarità, se siamo alle prime armi o se l’incarico richiede una lingua in cui ci sentiamo zoppicanti, meglio lasciar perdere. Tornando al caso specifico, l’idea di lasciare il delegato italiano del CAE senza traduzione mi fa sentire un po’ in colpa, ma non sono una supereroina in grado di risolvere tutti i problemi linguistici del mondo, no?
Ipotesi 2: faccio un salto nel vuoto
Accettare un incarico senza aver avuto la possibilità di prepararmi è un salto nel vuoto. Non avendo sondato il terreno, non so se sotto c’è un materasso morbido, un corso d’acqua o delle rocce acuminate su cui potrei schiantarmi. Per mia fortuna, però, sono dotata di un paracadute: ho anni di esperienza sul campo, una solida conoscenza linguistica e un’idea abbastanza precisa dei temi che potrebbero essere toccati nella riunione, perché ho lavorato molte volte in altri CAE.
Quindi qual è stata la mia decisione? Questa volta ho deciso di buttarmi nel vuoto e l’atterraggio è stato morbido. La fortuna mi ha aiutata, perché ero con una collega brava e affidabile (paracadutista anche lei!) e i relatori non erano tra i più ostici. Certo, sono consapevole del fatto che se avessi avuto modo di prepararmi come da routine alcuni termini sarebbero state più immediati o precisi, ma quello che conta è che sento di aver reso un buon servizio al mio cliente.
E a te, è mai capitato di trovarti in ambito lavorativo in una situazione simile? Se sì, che cosa hai fatto?
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