Uno dei motivi per cui amo così tanto il lavoro dell’interprete è che ogni incarico che svolgo mi permette di immergermi in contesti diversi e mi offre l’opportunità di imparare qualcosa negli ambiti più disparati. Nella stessa settimana può capitarmi di lavorare in un convegno di agricoltori e in una formazione in ambito cosmetico, o di passare da un consiglio di amministrazione di una multinazionale a un festival letterario: ogni tipologia di evento multilingue presenta sfide specifiche, ma ce n’è una che mi è capitato di affrontare in più di un’occasione che comporta difficoltà di tipo diverso. Si tratta dei convegni ad alto carico emotivo, in cui vengono affrontati temi che mi toccano come persona o che urtano la mia sensibilità.
Ad esempio, una volta mi è capitato di lavorare in simultanea durante una conferenza in cui si discuteva di tematiche politiche ed etiche con relatori che esprimevano posizioni diametralmente opposte alle mie con toni particolarmente accesi. In quell’occasione, la professionalità ha messo a tacere le mie opinioni personali e, per essere fedele ai relatori, dalla mia bocca sono uscite parole che hanno fatto infuriare la mia coscienza, ma non hanno fatto trapelare in nessun modo il mio disaccordo.
Il ruolo dell’interprete, del resto, non è esprimere un giudizio, ma stare un passo indietro e comunicare nella maniera più completa e accurata possibile quanto detto da un relatore in un’altra lingua.., qualunque cosa dica. Certamente, oltre a essere professionisti, siamo esseri umani dotati di coscienza e alcune tematiche potrebbero essere per noi estremamente sensibili, tanto da non permetterci di svolgere il nostro lavoro in maniera professionale. Se siamo interpreti freelance, quindi liberi di accettare o meno un lavoro, e se già sappiamo a monte che l’incarico che ci viene prospettato appartiene a questa categoria, a mio avviso è più corretto rifiutare (in questo post parlo di altre situazioni in cui è meglio rifiutare un incarico).
Ma parlando di convegni ad alto carico emotivo, l’esperienza per me più complessa è stata di gran lunga una conferenza dedicata a una malattia genetica rara il cui obiettivo era raccogliere fondi per la ricerca e ottenere a una terapia genica. Oltre alle notevoli sfide terminologiche date dalla complessità del tema, con interventi tecnici di ricercatori molto preparati, ma più o meno avvezzi a parlare in pubblico, il carico emotivo era dato dal fatto che erano presenti le famiglie dei pazienti, in gran parte pediatrici, che hanno raccontato le loro storie.
Da essere umano e da mamma queste storie mi hanno toccato profondamente e in alcuni momenti ho fatto molta fatica a trattenere le lacrime. Nonostante la difficoltà, sono riuscita a portare a termine il mio turno, anche se forse chi mi ascoltava avrà percepito la mia difficoltà. Durante la pausa, confrontandomi con alcuni colleghi di altre cabine, ho sentito che anche loro hanno avuto le stesse difficoltà e che in alcuni momenti hanno chiesto al(la) collega di prendere la parola. A mio avviso anche questo è segno di professionalità, che dimostra una grande consapevolezza del nostro ruolo: se in quel preciso momento non siamo nelle condizioni di offrire un buon servizio, è preferibile chiedere aiuto al(la) collega, se è in condizioni migliori.
E a voi colleghi/e interpreti è mai capitato di lavorare in eventi multilingue ad alto carico emotivo? Se sì, come li avete gestiti?
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