Qualche settimana fa ero con una collega di lingua spagnola ad una conferenza. La collega aspettava di conoscere la persona per cui avrebbe dovuto tradurre il convegno in chuchotage e poco dopo il suo cliente è arrivato: era il sindaco di una città della Spagna. I due si sono presentati e sono rimasta colpita dal fatto che, pur non essendosi mai visti prima, i due si sono immediatamente dati del tu.
Per quanto, considerato il contesto, a noi italiani questa informalità potrebbe sembrare eccessiva, come mi è stato spiegato da un’altra collega spagnola, in Spagna è la prassi: ci si dà del lei molto meno che in Italia.
Come è noto, nei paesi di lingua anglofona il problema non sussiste: esiste solo la forma you quindi non c’è differenza tra darsi del lei e del tu. In Francia, invece, esistono due forme come in Italia (tu e vous) e in ambito professionale ho l’impressione che prevalga nettamente la forma vous, anche se è spesso smorzata con l’utilizzo del nome invece che del cognome con funzione vocativa (Emanuela, vous êtes l’interprète ? invece di Madame Cardetta, vous êtes l’interprète ?). Anche in Slovacchia esiste la doppia forma (ty e Vy) e la mia percezione è che in ambito professionale domini nettamente l’utilizzo della forma Vy.
Ma in Italia? Come ogni Paese e cultura, anche l’Italia ha le sue convenzioni e il livello di formalità/informalità cambia a seconda dei contesti. Certo, ci sono delle situazioni estreme (massima formalità: vengo invitata a pranzo dal Presidente della Repubblica e massima informalità: vengo invitata a pranzo da mia nonna), ma al di là di questi casi limite c’è un’ampia zona grigia in cui dobbiamo imparare a orientarci per non incorrere in situazioni imbarazzanti.
Esempio concreto: vengo ingaggiata da un’agenzia per un convegno e poco prima dell’inizio dei lavori incontro per la prima volta l’organizzatore. Gli dò del tu o del lei? Personalmente propendo sempre per il lei, ma ci sono situazioni in cui questa scelta viene percepita come una voglia di infrapporre una distanza eccessiva tra me e il cliente. Ad esempio: se il convegno è un raduno internazionale di appassionati di Topolino e l’organizzatore è un ragazzo di 12 anni penso che saremo tutti d’accordo sul fatto che è improprio dargli del lei. Così come, se è la quinta volta che lavoro per lo stesso convegno di architetti, può essere che tra me e l’organizzatore sia nata una confidenza tale da farci utilizzare la forma tu.
Insomma: a me sembra che la decisione di darsi del tu e del lei sia il risultato di una negoziazione tra me e il cliente, a volte esplicita e a volta tacita. Nel dubbio però, forse è meglio dare del lei.
A chi volesse approfondire il tema, anche se da una prospettiva molto diversa, segnalo con piacere un bel post sulle forme di cortesia nei testi di benvenuto ai supermercati Lidl pubblicato qualche giorno fa sul blog Terminologia etc.
Van
Posted at 18:59h, 15 MaggioEsprimo la mia opinione, facendo un confronto con altri paesi.
Non voglio parlare tanto di regole.. non è il mio settore e nemmeno mia intenzione.. ma avendo lavorato e passando molto tempo a contatto col pubblico.. vorrei parlare di come queste vengono applicate. Del senso diverso (positivo o negativo) col quale una forma di cortesia o un appellativo possono essere usati. La società è cambiata.
Una volta essere chiamati “signore” era un grande onore per esempio(mi riferisco ai tempi nei quali il Signore spesso era il proprietario terriero, il giovane il mezzadro che riceveva il “tu”). Oggi, in molti ambienti che frequento, mi riferisco soprattutto a quelli non troppo formali, le cose si sono capovole..
Signore viene detto a chi ha un aspetto invecchiato, non sempre con tono positivo e rispettoso, il “lei” viene usato per tenere a distanza un cliente “antipatico” “strano” o “vecchio” a volte.. il “ciao” e il “tu” vengono usati con i propri clienti preferiti, belli, giovanili.
Questo vedo nel 99% dei casi nella mia città, adulti trattati diversamente secondo le rughe. Spesso, vedo anche coetanei trattati diversamente a seconda dell’aspetto fisico, per esempio: il primo è giovanile, il secondo è senza capelli e ha la faccia da vecchio.
Al primo gli vedrete spesso dare del tu, linguaggio informale, maggiore interessamento. Al secondo dare del “lei”, maggiore distanza, signore ogni 3 parole, ovviamente non si verifica nessun rispetto reale, visto che quelle persone tenendole tanto a distanza, nemmeno lo conosceranno.
Io sono d’accordo nell’usare il “lei” verso tutti gli estranei adulti per esempio (dai 20 anni in su), intendo adulti fisicamente.
Non mi piace chi nel suo stesso bar, ristorante oppure negozio, il proprietario si metta a contare le rughette prima di decidere come rivolgersi a un cliente, e tratti clienti “adulti” tutti in modo diverso.
In certi casi, soprattutto in un ambiente informale, nel quale si vuole sentire a proprio agio, mette solo a disagio questo continuo tirare a indovinare sull’età della gente (visto che non hanno la C.I, spesso si basano sull’età apparente).
Inolte, usare il lei o chiamare “signore/signora” qualcuno, in un ambiente nel quale non si usa con nessuno, soprattutto se non è realmente anziano(vedo in Italia fare differenze di trattamento per 5/10 anni di differenza o meno), solo per motivi “anagrafici” in assenza di rispetto, può mettere a disagio qualcuno, addirittura escluderlo.
Immaginate un ristorante con un personale e una cliente medio-giovane(adulti intendo, non minorenni), arriva uno che ha qualche anno di più e iniziano a trattarlo dicendo: “signore ripetuto ogni 2 parole” “senta lei” eccetera… anche se per assurdo volessero fargli una cortesia, quello si sentirà a disagio, non ci tornerà più perchè viene escluso a livello sociale essendo trattato come un “nonno”. Questa è una pratica che vedo spesso in Italia.
In altri paesi più a Nord in Europa, anche se in alcuni si usano le forme di cortesia nella lingua scritta, nella lingua parlata si tende a mettere a proprio agio il cliente e a “inserirlo” non ad “escluderlo”. Difficilmente ho visto la stessa cosa in un pub, all’incirca tutte le persone adulte venivano trattate allo stesso modo. C’erano persone di tutte le età o quasi.
è molto più rilassante.
P.s: è solo la mia opinione
Uno dei motivi credo che dipenda dal fatto che molte persone in Italia usano la parola signore, non come segno di eleganza(lo ho visto usare verso straccioni) ma ispirandosi al significato “senior” comparativo di “senex” che interpretato in questo modo e senza sapere niente di un estraneo, significa solo “vecchio” o più vecchio. Altre interpretazioni richiedono una conoscenza del curriculum e della persona, che non hanno.
Vann
Posted at 19:37h, 15 MaggioIn ogni caso, parto spesso dal “lei” con gli sconosciuti e mi adatto anche alle regole italiane.
Il mio messaggio voleva essere più che altro una analisi che vada a scavare nei modi maliziosi, cattivi, nei quali una forma di cortesia, un appellativo, può trasformarsi quasi in una discriminazione.
P.s: oltre alle esperienze personali ho usato alcune fonti.
La definizione senior come comparativo di Senex si trova nell’enciclopedia Treccani, per esempio.
Sul cambiamento delle abitudini, ovviamente lo vedo osservando come le persone comunicano.. ma ci sono anche personaggi famosi che hanno trattato l’argomento.
In Germania, paese nel quale il linguaggio è pieno di formalità, una persona come Klaus Gehrig ha deciso di farsi chiamare “per nome” da 370 mila dipendendenti.
Questo per rompere una certa asimmetria nel linguaggio.
Esiste un articolo su ItaliaOggi che ne parla, oltre che in diverse riviste tedesche.
Questa iniziativa è stata criticata da alcuni.. ma è stato un modo per dare un segnale di cambiamento.
Senza togliere niente al rispetto verso il curriculum della persona, che in certi casi ho trovato più alto che altrove, eliminare l’uso eccessivo e pesante di alcune forme di cortesia, è servito a creare un modo di parlare più rilassato.
Ho lavorato in ambienti nei quali succedeva questo, devo dire che mi sono trovato bene.
Questo è un esempio estremo, che è stato da alcuni criticato ma da molti apprezzato.
In generale comunque, di solito mi adatto alle usanze più comuni dell’ambiente in cui mi trovo, sull’uso del tu e del lei. Valuto anche il livello di formalità: non darei mai del tu a un avvocato o in un processo (è un esempio estremo..) mi capita invece di ricevere e dare del tu, in un bar, in una discoteca, sala da ballo, posti nei quali il “lei” è stato quasi eliminato. Anzi.. se viene usato la gente si offende.
Emanuela Cardetta
Posted at 09:40h, 20 MaggioGrazie mille per la sua opinione articolata e motivata. Nel mio post mi riferivo in modo particolare al rapporto tra cliente e interprete, ma uscendo da questo ambiente molto specifico, effattivamente i casi che lei cita in relazione alla vita quotidiana fanno molto riflettere sul nostro modo di relazionarci con gli altri.
Michaela Sebokova Vannini
Posted at 11:07h, 26 LuglioCiao Emanuela,
Posso mettere in confronto le mie esperienze come interprete con i clienti italiani, cechi, slovacchi e ungheresi. Partendo da questi ultimi, si notano due possibilità diametralmente opposte: o il cliente ti saluta già con un “tu” – e in quel caso è opportuno adattarsi senza sollevare obiezioni- o è un tipo “all’antica” che con il charme tipicamente ungherese sfoggia un linguaggio elegante e colto, che non ammette altro che una risposta formale.
Gli slovacchi e i cechi usano il linguaggio formale e si rivolgono anche all’interprete dandole/dandogli del lei, il che va ovviamente ricambiato.
Gli italiani sono quelli che a me risultano i più informali, non saprei se ciò possa essere causato dal fatto che io sia una straniera, ma forse nemmeno. La tendenza di dare del tu anche negli ambienti di lavoro (a più non posso, soprattutto nelle grandi aziende), forse porta le persone che sono a contatto con i fornitori ad applicare le stesse regole.
Secondo me è sbagliato. Personalmente lavoro meglio dando e ricevendo del lei (salvo che con gli ungheresi, come già spiegato). Perché permettendo di dare del tu nei paesi dove generalmente si dà del lei, fa cambiare il modo del cliente di esprimersi, il suo lessico, il suo atteggiamento, compromettendo in alcuni istanti il lavoro professionale dell’interprete.
La situazione naturalmente può cambiare se si tratta di clienti di lunga data.
Emanuela Cardetta
Posted at 13:14h, 26 LuglioCiao Michaela,
grazie del tuo commento e per aver aggiunto il tuo punto di vista. Ignoravo completamente l’atteggiamento degli ungheresi, molto interessante. Non credo che gli italiani tendano a darti del tu perché sei straniera, perché in effetti spesso capita anche a me.
A volte è davvero difficile scegliere il livello giusto di (in)formalità, quindi da questo punto di vista sono molto più serena quando lavoro con l’inglese, visto che almeno questo problema non c’è 🙂
Alberto Ragazzi
Posted at 02:32h, 18 LuglioCara signora Cardetta, sono incerto, forse preferisce cara Emanuela, la mia non vuole essere una discussione isterica ma una pacata chiacchierata che tenda a convincere di correttezze formali pur nell’ambito dell’evoluzione sociale. La differenza in inglese, mi dispiace contraddirla, esiste eccome! Consideri le due frasi: “I ask you, mistress Cardetta, about your …” e “I ask you, Emanuela, about your…” oppure le altre due forme di presentazione: “Hello, I am mister Ragazzi” e “Hello, I am Alberto” le due forme differiscono eccome! Nella prima forma – e ora il discorso vale anche per l’italiano – è come se io tenessi un gradino in più di distanza, che potrà ovviamente essere annullato da un successivo accordo – tacito o esplicito – di passaggio alla seconda forma che invece è più amichevole, ma ho bisogno di esprimere mentalmente un’accettazione, un accordo, su questo passaggio alla forma più amichevole che avviene attraverso una valutazione soggettiva che autorizza me stesso a raccorciare la distanza formale. Se inizio con il tu, non mi resta più zona di rispetto (in italiano rispetto significa anche distanza prudenziale, esempio: “nell’avvicinarmi a un precipizio mi tengo una zona di rispetto per evitare di cadere”) e fare marcia indietro nella relazione formale diventa poi difficile e può suonare offensivo. Invece se parto con il “lei” mi conservo la possibilità di passare al “tu” o di mantenere il “lei” se non sono convinto che il mio interlocutore possa o meno approfittare della familiarità concessa.
Insomma, non so se mi sono spiegato: andare in avanti è possibile con facilità, reimmettere una distanza una volta annullata è molto più difficile. E di tutto questo non ne farei una questione di età ma di educazione che protegge noi stessi. Poi in pratica spesso si abbandona questa forma, ma converrà che potrebbe imbarazzare. Grazie per l’attenzione.
Emanuela Cardetta
Posted at 08:46h, 27 SettembreCaro signor Ragazzi, o caro Alberto,
grazie del suo commento (per un problema tecnico del sito l’ho ricevuto solo ora e me ne scuso). Sono assolutamente d’accordo con il suo punto di vista, che arricchisce moltissimo la tematica che avevo proposto.
Il campo d’analisi del mio intervento era però, a dire il vero, molto più limitato e quando ho scritto che “nei paesi di lingua anglofona il problema non sussiste: esiste solo la forma you quindi non c’è differenza tra darsi del lei e del tu” intendevo concentrarmi esclusivamente sull’utilizzo del pronome formale/informale nelle quattro lingue prese in analisi.
Concordo pienamente sul fatto che la formalità e l’informalità si esprimono anche (e soprattutto) a livelli diversi e certamente la dinamica del dare del “tu” o del “lei” cambia da cultura a cultura e da persona a persona. E come scrivevo sul post, sono d’accordo anche sull’approccio che descrive lei del mantenere una zona di rispetto, che poi si fa sempre in tempo ad accorciare. Grazie ancora del contributo.