Nel mondo dell’interpretazione, questa domanda ha interrogato e continua a interrogare chiunque si affacci alla professione. Ma prima di offrire la mia risposta, ecco qualche definizione (chi ha già familiarità con la terminologia può saltare il prossimo paragrafo).
Si interpreta in passiva quando si lavora a partire da una lingua straniera (che può essere lingua B o lingua C) verso la propria madrelingua (ossia lingua A), mentre invece si interpreta in attiva quando si lavora dalla propria madrelingua verso una lingua straniera (lingua B, ossia lingua straniera in cui si lavora attivamente, contrariamente alla lingua C, che è passiva).
La risposta delle istituzioni europee alla domanda del titolo è molto chiara e netta: no, a meno che non si strettamente necessario. Infatti, il servizio di interpretazione è organizzato in modo tale che si interpreti unicamente verso la propria lingua madre (con delle eccezioni per le combinazioni linguistiche in cui questo non risulta possibile), dunque tendenzialmente il profilo degli interpreti è di una lingua A e varie lingue C. Quando questo non è possibile si ricorre al retour (interpretazione lingua A>lingua B) o al relais, di cui ho parlato nel post precedente.
Sul mercato privato italiano, invece, tradurre verso una lingua straniera è assolutamente normale, a tal punto che avere nella propria combinazione una lingua solo passiva (C) equivale a utilizzarla ben poco poiché vengono richieste molto più spesso cabine bidirezionali (lingua A<>lingua B) rispetto alle cabine pure (lingua B/C>lingua A). Anzi, esiste anche la pratica dell’interpretazione incrociata, che consiste nell’interpretazione tra due lingue straniere senza passare dalla lingua madre (lingua B<>lingua B).
Al di là delle variabili date dalle scelte istituzionali e dalle esigenze di mercato, la mia risposta alla domanda iniziale è sì: con la preparazione giusta sono convinta che si possa fare un ottimo lavoro, anche quando si interpreta verso una lingua straniera. Tradurre verso la propria lingua madre non è necessariamente una garanzia di qualità perché il processo di interpretazione è costituito da due fasi principali: la comprensione del discorso pronunciato dall’oratore nella lingua di partenza e la produzione del discorso nella lingua di arrivo e ciascuna di queste fasi ha le sue difficoltà.
Se è vero da una parte che la fluidità nella propria lingua madre può essere raggiunta difficilmente in una lingua B, dunque traducendo verso una lingua straniera si potrebbe perdere nella produzione qualche elemento stilistico, è pur vero che tradurre a partire dalla propria madrelingua offre il notevole vantaggio di padroneggiare perfettamente la comprensione, schivando eventuali difficoltà. Una volta compreso il contenuto del discorso, con una solida competenza nella lingua B, l’interprete ha tutto ciò che gli occorre per riprodurre il messaggio nell’altra lingua, e anche se gli sfuggisse uno specifico vocabolo nella lingua B, riuscirebbe comunque a esprimere il concetto in modo efficace utilizzando altre parole.
fgpx78
Posted at 06:12h, 02 AgostoMolto interessante, al solito.
Una correzione: credo forse “(lingua Blingua B).” debba essere “(lingua Blingua C).”, giusto?
E uno spunto: come vengono considerati i traduttori che hanno più lingue madre? Esiste di fatto nel vostro mondo il concetto di 2+ lingue madre?
I miei figli stan crescendo parlando Italiano, Ceco e Slovacco – quotidianamente – a cui si aggiunge l’Inglese che imparano a scuola. Dovessero mai fare gli interpreti, tutte le traduzioni verso Italiano, Slovacco e Ceco verrebbero considerate attive?
Ma sopratutto, come viene certificato l’essere madrelingua nel vostro ambiente? “autocertificazione”? “cittadinanza”? esami particolari da sostenere? 😉
Emanuela Cardetta
Posted at 09:34h, 02 AgostoGrazie mille per il commento. Non ho mai sentito la parola “blingua” a dire il vero. Anzi, ne approfitto per chiederti che cosa significa così imparo una cosa nuova 🙂 Generalmente si parla di lingua A, lingua B o lingua C, tant’è che si dice “avere l’inglese B / avere lo spagnolo C”, ecc.
Certamente possono esserci interpreti con due o più lingue A. Ad esempio, se i tuoi figli facessero gli interpreti, avrebbero 3 lingue A (italiano, slovacco e ceco) e una lingua B o C (l’inglese). Non c’è una certificazione che attesti la propria madrelingua, ma comunque molto dipende dall’ambito in cui si opera. Appunto in Italia non è nemmeno richiesta la laurea per fare l’interprete, lo può fare chiunque (ahimé), mentre le istituzioni hanno dei loro criteri di selezione. Per quanto ne so, comunque, neanche lì serve un documento che certifichi l’essere madrelingua, perché le competenze linguistiche dichiarate emergono chiaramente durante la prova di selezione (test o concorso).