Qualche tempo fa una collega spagnola, che è soprattutto una cara amica, mi ha raccontato una storia che mi ha fatto molto ridere. Stava lavorando in simultanea durante un convegno molto serio e tra i delegati c’era anche un relatore italiano il cui cognome era Panfilo (che pronunciamo con l’accento sulla “a”: Pànfilo).
Pur non tra i più diffusi, per noi italiani questo è un cognome come un altro, che normalmente non desta nessuna reazione particolare. Invece, come mi ha spiegato la collega, sul pubblico spagnolo avrebbe avuto un effetto molto comico perché la parola pánfilo (che si pronuncia come in italiano, con l’accento sulla “a”) in spagnolo vuol dire “idiota/tardo nel comprendere/stupidotto”.
Prevedendo le risatine dei delegati spagnoli nel sentir pronunciare quella parola per loro comica in quel contesto e, soprattutto, immaginando lo stupore dell’ignaro relatore italiano, che molto probabilmente non avrebbe capito il motivo di quella reazione al suo cognome, la collega ha deciso di intervenire per evitare imbarazzi: ha pronunciato il cognome molto velocemente, a voce più bassa e cambiando l’accento (spostandolo sulla “i”: “Panfìlo”) nel tentativo di confondere le acque. In questo modo il pericolo ridarella è stato scampato e nessuno si è sentito incomprensibilmente deriso.
Questo episodio divertente mostra un’altra sfaccettatura che contraddistingue il ruolo dell’interprete, che va ben oltre il mero trasporto di parole da una lingua ad un’altra. Infatti, l’interprete è chiamato a fare costantemente scelte e valutazioni, sia linguistiche che comunicative, tenendo conto della specifica situazione comunicativa in cui si trova e cercando di mettersi sempre nei panni di chi lo sta ascoltando. La sua missione è fare in modo che il pubblico per cui sta traducendo recepisca il messaggio del relatore nel modo più simile in cui il relatore ha inteso produrlo nella sua lingua.
Questo significa che se il relatore fa una battuta, e quindi vuole creare un effetto comico, l’interprete deve cercare di creare il medesimo effetto, a volte anche modificando la forma. In questo caso il cognome del relatore avrebbe potuto produrre un effetto comico involontario, per questo la collega ha deciso di intervenire per evitare la distorsione. Non bisogna dimenticare che questi ragionamenti avvengono nella testa dell’interprete nell’arco di frazioni di secondi, in contemporanea con parecchie altre attività non da poco (ascolto del relatore, produzione del suo discorso nell’altra lingua, automonitoraggio, ecc.). Insomma chapeau alla prontezza e lucidità della collega: questa volta il signor Panfilo è salvo!
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